Ha ancora senso leggere poesie? E se no, cosa importa?
Sono sempre stata quella che si definisce una lettrice "forte". Una di quelle ragazzine che, se c'era un libro nuovo ancora da leggere che mi aspettava sul comodino, non vedeva l'ora di tornare a casa da scuola per immergersi dentro le pagine ancora intatte.
Eppure le poesie no. Non le ho mai cercate spontaneamente, né mi hanno rapito come accadeva alle eroine dei romanzi ottocenteschi, che si nascondevano sotto i cespugli per leggere di nascosto dai genitori e non sembrare troppo intellettuali.
Verso i vent'anni, come molti, ho avuto una infatuazione per Pablo Neruda e la sua poesia sulla cipolla. Ma tutto si è fermato lì.
Fino all'anno scorso, quando Emily Dickinson ha deciso di stendere le sue sottili aristocratiche dita sulla mia mente e l'ha ghermita in un abbraccio fatale, portandomi a curare una breve raccolta illustrata di alcune delle sue poesie che ho amato di più, e che ho pubblicato qui
Ebbene, perché ora? Perché tanti anni passati a leggere di tutto, saggi, romanzi, manuali di self help, di arredamento, libri d'arte, monografie e quant'altro e adesso, improvvisamente, la poesia?
E mica poesia "mainstream"! Principalmente poeti del romanticismo ottocentesco irlandese, compositori giapponesi di haiku, poetesse antiche ma solo e rigorosamente se sconosciute ai più.
Ho quasi l'impressione di scavare in una miniera alla ricerca di un filone d'oro: e trovarlo non è facile. Ma quando lo avrò dissotterrato, farà parte di una nuova raccolta. Selezionerò questi tesori e li racchiuderò nella più preziosa silloge che riuscirò a creare, per condividere "il mio tesoro" con altri lettori.
Spero di fare in tempo a prepararla per il prossimo Natale.
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