Donne che corrono coi lupi, uno sprazzo di luce sullo scaffale dei libri da conservare.


 


Ci sono libri che, dopo averli letti, rimpiangi i soldi spesi per acquistarli e ti chiedi perché non li hai impiegati per farti una pizza.

Quelli che sì, sono scritti bene ma ti rimangono meno in testa che un moscerino sul parabrezza in una giornata di pioggia. 

E poi ci sono quelli che ti conservi sullo scaffale dei libri da non dimenticare, da riprendere in mano ciclicamente, magari una o due volte l'anno, per rileggerli quando ti senti sola, quando non capisci qualcosa di te o del mondo e hai bisogno di rimettere le cose in prospettiva, di tornare in contatto con il tuo io più profondo e di ricordare a te stessa cosa sei, che strada hai fatto per arrivare fin qui - dovunque ti trovi - e, soprattutto, qual è la direzione che vuoi percorrere.

Per me Donne che corrono coi lupi, di Clarissa Pinkola Estés, è uno di quei libri, anche se, assolutamente, non uno dei più facili e scorrevoli che abbia letto. 

Non credo che l'aggettivo scorrevole sia mai stato usato nella stessa frase con il titolo di questo libro, tanto esso è lontano dall'esserlo: elaborato, a volte fumoso e di difficile comprensione, a tratti inconcludente, tuttavia questo piccolo tomo mi riporta a me stessa, a quello che mi interessa di me come essere umano e delle essere (femminile plurale di esseri, anche se la parola non esiste) umane che abitano insieme a me il pianeta. 

Perché ci siamo, e viviamo tutte le stesse cose: diversamente ed ognuna a suo modo, ma le viviamo.

E pensare che invece non è così, che siamo immerse in un frullatore perennemente in funzione dove l'emotività - questa sconosciuta - non ha importanza, seppure esiste, oltre ad essere fuorviante non corrisponde alla realtà.

Questo libro parla di antiche leggende che, come archetipi, attraversano culture, popoli e tempi diversi, mutando forma ma mantenendo inalterati negli anni, a volte nei secoli, il loro messaggio significante: Barbablù, la storia di Vassilissa, la celebrazione dell'unione con l'altro nella storia di Manawee, la famosissima - in Europa - storia di Scarpette Rosse, quella della Fanciulla Senza Mani, e molte altre, sono tutte storie che l'autrice ci racconta facendo luce su cosa esse dicono della donna e della sua consapevolezza di sé.

E' stato questo libro ad insegnarmi che una storia non va necessariamente letta come se i suoi personaggi fossero persone distinte e separate, seppure narrata in tal modo, ma come ognuno possa evidenziare un lato della medesima personalità: nella Bella Addormentata, come pure in Biancaneve, per fare due esempi famosi non contenuti nel libro, leggere il bacio del principe come una forma di avance non consensuale è, oltre che ridicolo, infondato: se si legge invece tale atto come una forma di risveglio della consapevolezza che avviene nell'età adolescenziale, per fermarsi ad una delle letture più immediate della favola, esso assume tutto un altro significato. 

Così parlare di Vassilissa penetrando il vero ruolo della strega Baba Yaga che, anziché essere solo una brutta megera, è l'agente che porta la protagonista a diventare autonoma, aiutandola ad affrontare la morte della madre come metaforico passo nell'acquisizione di una propria maturità ed autonomia, dà alla favola ben altro spessore. 

Il bello delle favole è che lasciano il loro seme dentro di te anche se non le capisci: quelle, non viste, continuano a germogliarti dentro anche se non lo sai. Se poi trovi un libro come questo, che con fantasia e creatività prova a disvelarne alcuni aspetti, allora non puoi che rimanerne incantat* e perderti nelle sue pagine. 

Come ho fatto io. 

Il libro è disponibile su Amazon qui: Donne che corrono coi lupi







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